5.30.2012

Encouraging the obsession

Articolo tradotto da IndieWire

Di tutte le produzioni televisive non c’è una sfida più grande che scrivere il “Previously on...” prima di ogni episodio di Fringe. Nella sua quarta stagione, la più recente che si è conclusa venerdì, lo show ha costruito una backstory incredibilmente complessa che comprende universi paralleli, personaggi doppi e timeline alternative che non è facile condensare nei 90 secondi dell’intro.

A differenza del cugino Bad Robot Lost, Fringe inizia con un piano generale e (almeno per quanto ne sappiamo) ad esso si è attenuto, vale a dire che mentre ci sono state un sacco di trame lasciate in sospeso nei suoi 80 bizzarri episodi, gli scrittori dello show hanno una persistente (e talvolta perversa) abitudine di recuperare dettagli sparsi in episodi non amati del passato e renderli centrali per la trama principale.

La quarta stagione, iniziata con il ‘reboot’ della timeline, che ha cancellato gran parte di quello che avevamo imparato a conoscere, serve in parte a reintegrare gli episodi del primo anno, quando lo show era sviluppato intorno al "Freak of the Week" sulla falsa riga di "The X-Files", in quella che da allora è diventata una maglia fittamente intrecciata di storia e contro-storia.

Al centro dello show ci sono le indagini della Divisione Fringe, un ramo dell’FBI che opera in gran parte in un laboratorio scientifico sotterraneo gestito dall'eccentrico Walter Bishop (John Noble), genio fuori dalle righe tanto matto quanto intelligente. Lui giunge alla Fringe Division fresco di scarcerazione da un istituto psichiatrico dove ha trascorso gli ultimi 17 anni, rilasciato sotto la tutela dell’iper-competente agente FBI Olivia Dunham (Anna Torv) che nonostante i molti talenti si trova a cercare di aiutare un pazzo emotivamente fragile ad adattarsi ad una vita normale. Il lavoro a tempo pieno di prendersi cura di Walter ricade sul suo quasi sconosciuto figlio Peter (Joshua Jackson), un uomo altrettanto brillante, ma meno zelante, che ha usato la sua intelligenza per lavorare in una varietà di affari semi-legali.

I casi di cui indagano, da un serial killer che ruba la ghiandola pituitaria delle sue vittime ad un bioterrorista che uccide con cellule influenzali giganti, cominciano a formare un pattern - chiamato, in modo abbastanza semplice, "The Pattern" - suggerendo che qualcuno sta usando il mondo come un laboratorio per ogni sorta di criminali amorali e senza scrupoli.
L'idea che, per coloro di particolare intelligenza e con moralità flessibile, il mondo sia un enorme piastra di Petri, chiude il cerchio con la fine in due parti della quarta stagione "Brave New World", in cui è stato rivelato che il vecchio partner di laboratorio di Walter, William Bell (Leonard Nimoy), è stato la mente lungo tutta la stagione dietro al complotto per distruggere il nostro universo e sostituirlo con un altro di sua creazione. Dal momento che gli episodi sono stati girati senza la sicurezza del rinnovo di Fringe, "Brave New World" doveva servire sia come finale di serie così come di stagione, fornendo un senso di risoluzione emotiva e lasciando i grandi misteri dello show irrisolti. (Fox ha annunciato questa settimana che lo spettacolo si concluderà con una quinta stagione di 13 episodi, dando abbastanza tempo agli autori di strutturare un arco narrativo conclusivo e portando Fringe ai 100 episodi - "numero magico" che rende uno show replicabile.)

Con un ruolo nel quadro generale non definito, "Brave New World" è stato zoppicante fin dall'inizio con momenti memorabili affiancati ad alcune delle più goffe (e superflue) scene nella storia dello show. Il punto cruciale dei due partner è la rivelazione che la fonte di energia che William Bell stava usando per alimentare il suo piano apocalittico è stessa Olivia Dunham.

E’ qui che arriva il “Previously on...” Nella prima stagione abbiamo scoperto che Olivia era parte di un gruppo di bambini usati come soggetti nei test per una droga chiamata Cortexiphan, il cui scopo era quello di sbloccare le capacità della mente umana. (Studi condotti, naturalmente, da Walter Bishop e William Bell). Mentre alcuni bambini non erano in grado di gestire quello che la droga gli aveva dato, Olivia era la cavia perfetta, benedetta/maledetta con una serie di abilità, dalla telecinesi al muoversi tra gli Universi. Walter stesso era passato in un universo parallelo e rapito la copia di suo figlio deceduto, Peter, ma la frattura tra i mondi ha creato un’instabilità catastrofica che ha devastato Over There.

Come un ricordo tangibile della trasgressione del pentito Walter, Peter è l’unico qualificato a rimettere le cose a posto, cosa che alla fine fa, utilizzando un enorme dispositivo steampunk per creare un ponte stabile tra universi. Nel processo risolve il paradosso responsabile della sua esistenza e scompare, fino a ritrovare la strada per il mondo in cui non è mai esistito. (È probabile che il cervello ti faccia male adesso, cerca una parete bianca da guardare, attendi qualche minuto e andiamo avanti.)
Dove eravamo? Giusto. Per la maggior parte della stagione il ruolo del Big Bad è stata ricoperta da David Robert Jones (Jared Harris), uno spietato, ghignante cattivo i cui piani di alto livello l’ha sempre messo diversi passi avanti rispetto ai suoi inseguitori. Ma è saltato fuori che Jones era solamente il burattino usato da William Bell che ha eliminato quando non gli è più stato necessario. (In pratica, Harris era il segnaposto di Nimoy che si era ritirato dalla recitazione dopo la prima stagione giusto in caso gli autori non fossero riusciti a convincerlo a tornare.)

Nimoy sembrava, francamente, un po’ fuori allenamento, la sua interpretazione rigida non riusciva a mettere tutta la gioia maliziosa con cui William Bell giocava col mondo. Ma la sua apparizione inaspettata fa il paio con la fine della prima stagione di Fringe, quando Olivia attraversa i mondi trovando ad aspettarla un ghignante William Bell in un World Trade Center intatto.

La decisione di pulire (quasi) completamente la lavagna all'inizio della quarta stagione è stata una strana scelta, una scommessa con una posta in gioco molto alta che ci ha messo molto tempo per essere pagata. Con la scoperta dell’altro lato, ogni attore, a parte Jackson, ha raddoppiato il suo ruolo - il personaggio stabilito e la controparte dell’altro mondo - ed è diventato presto evidente che il cast era capace di molto di più di quanto aveva dimostrato fino a quel punto. La Torv in particolare è riuscita a stupire nello scambio tra l’abbottonata, imbrigliata Olivia del nostro mondo e quella dai capelli ramati dell’altro lato (a volte chiamata "FauxOlivia"), la cui saltellante postura e gli abiti stretti rivelano un livello di sicurezza che la Torv non aveva mai avuto occasione di mostrare.

La contrapposizione ha permesso ai personaggi di essere molto più definiti e ha dato alla Torv la possibilità di dare un’impressionante dimostrazione di recitazione. Anche quando i personaggi cambiano luoghi, con FauxOlivia sotto copertura nell’universo della nostra Fringe Division, il linguaggio del corpo dei personaggi permette facilmente di distinguerli. FauxOlivia è sopravvissuta al rebooting, ma Olivia, almeno per come la conoscevamo, no. La Torv è tornata a rivestire il ruolo di Olivia come era nella prima stagione, come un alunno disobbediente costretto a scrivere sulla lavagna la stessa frase.

Ecco il punto: al suo meglio Fringe gioca la partita sul lungo periodo così come ogni altro spettacolo televisivo, piantando semi che non germogliano per settimane o mesi e confidando che il pubblico lo riconosca quando avviene. Forse non è una coincidenza che il montaggio che chiudeva la quarta stagione - che avrebbe chiuso la serie se non fosse stato per il rinnovamento di Fox dell’ultimo momento - evocasse le sequenze della fine di ogni stagione di "The Wire", un altro show in cui tutti i pezzi contano.
Fringe ha le sue gioie accessorie e, prima fra tutte, la prestazione titanica di John Noble. Walter Bishop si è stabilizzato un po’ nel corso degli anni, ma è ancora un matto borderline, più a suo agio in mezzo ai cadaveri che con gli esseri umani. Nonostante la drammatica (e comica) esagerazione, è il ritratto di un genio acutamente tratteggiato, rivelatore dei misteri dell'universo in un fiato, ossessionato dalla ricetta perfetta per l’ennesima crema. Anche anni dopo la sua liberazione dal manicomio, è capace di confondere un vassoio con campioni di urina con un assortimento di Lemon Jello, e informato dell’errore, riesce sbrigativamente a rispondere: "No, grazie. Ho più un certo languorino che sete."

I minimi dettagli delle prestazioni, o i momenti una tantum come la scena in "Brave New World", dove viene fatto il terzo grado ad un cadavere rianimato i cui occhi corrono selvaggiamente in direzioni opposte, hanno più rilevanza nel quadro globale. Da quando è stato chiaro che l’audience di Fringe era tanta quanto si era riusciti ad ottenere, gli autori sono stati più audaci nel soddisfare i fan, lasciando che i nuovi arrivi trovassero la propria strada piuttosto che ripartire da capo. Può essere costato qualche spettatore casuale ma lo show incoraggia l’ossessione ripagandola appieno.